La misericordia, in famiglia, nella comunità, nel quartiere

Incontro di unità pastorale per rilanciare il tema della misericordia. Il titolo è “la misericordia, in famiglia, nella comunità, nel quartiere”. Si svolge a Ponte Lambro a partire dalle ore 19,15.

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Volantino 11/10/2016

Testi per il confronto in gruppo

1. FAMIGLIA

Dall’Esortazione post sinodale AMORIS LAETITIA di Papa Francesco

A causa del “ritmo della vita attuale, lo stress, l’organizzazione sociale e lavorativa … la famiglia può trasformarsi in un luogo di passaggio, al quale ci si rivolge quando pare conveniente per sé, o dove si va a reclamare diritti, mentre i vincoli rimangono abbandonati alla precarietà volubile dei
desideri e delle circostanze. In fondo, oggi è facile confondere la genuina libertà con l’idea che ognuno giudica come gli pare, come se al di là degli individui non ci fossero verità, valori, principi che ci orientino, come se tutto fosse uguale e si dovesse permettere qualsiasi cosa. In tale contesto, l’ideale matrimoniale, con un impegno di esclusività e di stabilità, finisce per essere distrutto dalle convenienze contingenti o dai capricci della sensibilità. Si teme la solitudine, si desidera uno spazio di protezione e di fedeltà, ma nello stesso tempo cresce il timore di essere catturati da una relazione che possa rimandare il soddisfacimento delle aspirazioni personali. (33 – 34)
35. Come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado morale e umano. Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire. Certo,
non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa. Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità. Ci è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare le ragioni e le motivazioni per
optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro.
36. Al tempo stesso dobbiamo essere umili e realisti, per riconoscere che a volte il nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo, per cui ci spetta una salutare reazione di autocritica. D’altra parte, spesso abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l’invito a crescere nell’amore e l’ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere della procreazione. Né abbiamo fatto un buon accompagnamento dei nuovi sposi nei loro primi anni, con proposte adatte ai loro orari, ai loro linguaggi, alle loro preoccupazioni più concrete. Altre volte abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi
artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario.

Da presentare: 2 idee, 1 immagine, 1 proposta

2. COMUNITA’

Dalla sintesi ABITARE del Convegno di Firenze

Da tutti i gruppi è emerso con chiarezza che “abitare” è un verbo che, come viene mostrato anche nella Evangelii Gaudium , non indica semplicemente qualcosa che si realizza in uno spazio. Non si abitano solo luoghi: si abitano anzitutto relazioni . Non si tratta di qualcosa di statico, che indica uno “star dentro” fisso e definito, ma l’abitare implica una dinamica. È la stessa dinamica che attraversa le altre vie, e soprattutto la via dell’educare. Molti, anzi, hanno visto l’abitare e l’educare strettamente collegati fra loro.
In tutto questo però, non si parte da zero. Il cammino ulteriore che ci attende è un cammino che le nostre comunità locali stanno facendo da tempo, andando incontro alle esigenze dei vari territori.
Lo fanno, consapevoli che l’abitare, per il cattolico, è anzitutto un “farsi abitare da Cristo”, perché solo a partire da qui può essere fatto spazio all’altro. … Ma in che cosa consistono, concretamente, queste relazioni buone che ci troviamo ad abitare, e che dobbiamo rilanciare e praticare nella vita di
tutti i giorni? Esse possono venir sintetizzate da alcuni verbi, che sono stati utilizzati, tutti o solo alcuni, dai vari gruppi.
Questi verbi sono: ascoltare, lasciare spazio, accogliere, accompagnare e fare alleanza.
La prima cosa da fare – vera pedagogia dell’incontro – è acquisire la disponibilità ad ascoltare. C’è chi ha chiesto che vengano allestiti sempre di più luoghi in cui, in un’epoca di grandi solitudini, vi sia la possibilità di parlare e di essere ascoltati davvero. L’ascolto comunque è l’unico modo per uscire
dall’autoreferenzialità, che è presente spesso, anche nelle famiglie, dove in molti casi la capacità di ascolto si va perdendo. Ma la famiglia, com’è stato detto, è “un luogo di conoscenze e di azione per abitare il territorio”: è il luogo, cioè, di una fondamentale testimonianza dello stile di vita cristiano.
Abitare le relazioni, anche in famiglia, significa però essere capaci di lasciare spazio all’altro. La necessità che venga lasciato spazio all’atro è sottolineata soprattutto dai più giovani. C’è il problema, qui, dei rapporti fra le generazioni.
Qualcuno ha detto, letteralmente: “Noi figli abbiamo bisogno di far pace con un mondo adulto che non vuole lasciarci le chiavi, che ci nega la fiducia e allo stesso tempo non esita a scandalizzarci ogni giorno”.
È una sfida che dev’essere accolta concretamente, nei comportamenti quotidiani, da tutti i cattolici, per fare i conti con quell’ingiustizia che le generazioni più anziane si trovano oggi a commettere, per lo più involontariamente, nei confronti di quelle più giovani.
L’accoglienza, poi, è l’atteggiamento a cui siamo tutti chiamati nei confronti degli altri, e in particolare delle persone più fragili. Vi sono tante forme di fragilità, oggi, che richiedono attiva attenzione: quelle dei bambini e degli anziani, ad esempio; quelle di coloro che hanno perso il lavoro e, in generale, dei poveri; quelle degli immigrati, alla ricerca di quel futuro che nelle loro terre d’origine è loro negato; quelle di chi vive un disorientamento psicologico ed esistenziale; quella, insomma, di tutti coloro che sono messi ai margini di un mondo che è impietoso nei confronti di chi non si uniforma alle proprie strutture economiche e sociali. Ma fare i conti con questo non significa – è stato da più parti sottolineato – limitarsi al gesto, pur importantissimo, del dare: bisogna far emergere la dignità delle persone, bisogna metterle in grado di sentirsi utili, di sentirsi in grado di restituire qualcosa di ciò che hanno ricevuto. Una relazione buona, un’accoglienza vera, non sono semplice assistenzialismo.
Ecco perché – e con ciò finisco l’elenco dei verbi più “gettonati” dai gruppi al fine di declinare concretamente il nostro abitare – accogliere significa anche, sempre, accompagnare e fare alleanza. Accompagnare le persone che hanno bisogno di noi; accompagnarle nelle difficoltà, nella malattia, anche nella morte. E tutto questo nei luoghi in cui viviamo tutti i giorni. C’è chi ha proposto, nel concreto, una vera e propria “pastorale del condominio”.
Tutto questo si verifica – molti lo hanno sottolineato – nelle relazioni che, a partire dalla relazione fondante con Dio e avendo a modello i comportamenti di Gesù, sperimentiamo quotidianamente.
Lo sappiamo bene, e tutto ciò è stato ulteriormente sottolineato. Queste relazioni si costruiscono nella natura e nel mondo – il creato come casa comune da custodire – nei luoghi in cui studiamo, lavoriamo, viviamo i nostri impegni e il nostro tempo libero, nei nostri spazi reali e negli ambienti virtuali.
Emerge la necessità di un impegno diffuso, di un cristianesimo vissuto a tutti i livelli e testimoniato quotidianamente, nella trasparenza dei comportamenti. Questo chiede anche un uso dei beni e di ciò che la Chiesa amministra secondo la radicalità evangelica. Ecco la vera tavola di verifica dei frutti
di questo Convegno.
In particolare, in relazione a questi modi di realizzare la propria fede, sono emerse molte riflessioni riguardo a come vivere la realtà della parrocchia in maniera adeguata alle sfide del nostro tempo. È stato chiesto di superare incrostazioni e difficoltà dovute a modi di pensare a volte ingessati, presenti anche nei vari organismi di partecipazione ecclesiale; è stato chiesto di lasciare più spazio ai carismi dei laici e di fare in modo che la stessa comunità cristiana sia un luogo davvero aperto alle necessità di tutti.
Un ultimo aspetto è stato infine sottolineato da tutti i gruppi. Si tratta della necessità di ripensare l’impegno a favore della propria comunità. Si tratta di ripensare la politica, e di farlo in una chiave che sia davvero comunitaria.
Alcuni hanno detto:non bisogna semplicemente delegare, e poi disinteressarsi di ciò che viene deciso in nostro nome. Bisogna accompagnare i decisori, che sono i nostri rappresentanti; non bisogna lasciarli soli. Una nuova capacità di abitare le relazioni – un “nuovo umanesimo” – si collega e si esprime anche nella partecipazione e nell’impegno per una vera cittadinanza attiva.
In sintesi: ciò che emerso da tutti i gruppi è una continuazione e un rilancio dello stile sinodale … Sentiamo, come parola finale, ciò che è stato detto in un gruppo, con esplicito riferimento a ciò che il Papa proprio qui a Firenze ci ha chiesto: di rileggere e applicare la Evangelii Gaudium. Che cosa possiamo sognare, molto concretamente però, per il nostro futuro? In che cosa possiamo concretamente impegnarci? Ecco che cosa è stato detto: “Sogniamo una chiesa beata, sul passo degli ultimi; una chiesa capace di mettere in cattedra i poveri, i malati, i disabili, le famiglie ferite [EG, 198]; “periferie” che, aiutate attraverso percorsi di accoglienza e autonomizzazione, possano diventare centro, e quindi soggetti e non destinatari di pastorale e testimonianza. “Sogniamo una chiesa capace di disinteressato interesse: che metta a disposizione le proprie strutture e le proprie risorse per liberare spazi di condivisione in cui sacerdoti, laici, famiglie possano sperimentare la “mistica del vivere insieme” [EG, 87; 92]. “Sogniamo una chiesa capace di abitare in umiltà, che,
ripartendo da uno studio dei bisogni del proprio territorio e dalle buone prassi già in atto, avvii percorsi di condivisione e pastorale, valorizzando, “gli ambienti quotidianamente abitati”, ognuna nel proprio spazio-tempo specifico e rendendo così ciascuno destinatario e soggetto di formazione e missione [EG, 119-121]”.
Da presentare: 2 idee, 1 immagine, 1 proposta

3. TERRITORIO

Dall’Esortazione apostolica EVANGELII GAUDIUM di Papa Francesco

L’insegnamento della Chiesa sulle questioni sociali 182. Gli insegnamenti della Chiesa sulle situazioni contingenti sono soggetti a maggiori o
nuovi sviluppi e possono essere oggetto di discussione, però non possiamo evitare di essere concreti – senza pretendere di entrare in dettagli – perché i grandi principi sociali non rimangano mere indicazioni generali che non interpellano nessuno. Bisogna ricavarne le conseguenze pratiche perché « possano con efficacia incidere anche nelle complesse situazioni odierne ».[148] I Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto
di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose « perché possiamo goderne » (1 Tm 6,17), perché tutti possano goderne. Ne deriva che la conversione cristiana esige di riconsiderare « specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene comune ».[149]
183. Di conseguenza, nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. Chi oserebbe rinchiudere in un tempio e far tacere il messaggio di san Francesco di Assisi e della beata Teresa di Calcutta? Essi non potrebbero accettarlo. Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli. Sebbene « il giusto ordine della società e dello Stato sia il compito principale della politica », la Chiesa « non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia ».[150] …
187 – 188. Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri … La Chiesa, guidata dal Vangelo della misericordia e dall’amore all’essere umano, ascolta il grido per la giustizia e desidera rispondervi con tutte le sue forze. In questo quadro si comprende la richiesta di Gesù ai suoi discepoli: « Voi stessi date loro da mangiare » (Mc 6,37), e ciò implica sia la collaborazione per risolvere le cause strutturali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri, sia i gesti più semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete che incontriamo. La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte
di alcuni.
189. La solidarietà è una reazione spontanea di chi riconosce la funzione sociale della proprietà e la destinazione universale dei beni come realtà anteriori alla proprietà privata. Il possesso privato dei beni si giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al bene comune, per cui la solidarietà si deve vivere come la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde. Queste convinzioni e pratiche di solidarietà, quando si fanno carne, aprono la strada ad altre trasformazioni strutturali e le rendono possibili. Un cambiamento nelle strutture che non generi nuove convinzioni e atteggiamenti farà sì che quelle stesse strutture presto o tardi diventino corrotte, pesanti e inefficaci.

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