Le prime tre Opere di Misericordia Corporale

Dare da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, vestire gli ignudi. Non è chi non veda che queste tre prime opere di misericordia corporale toccano realmente i bisogni primari e fondamentali dell’uomo. Afferma ancora Francesco: “Dar da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, vestire chi è nudo … mi sembra che non ci sia molto da spiegare. E se guardiamo alla nostra situazione, alle nostre società, mi sembra che non manchino circostanze e occasioni attorno a noi. Di fronte al senzatetto che staziona sotto casa nostra, al povero che non ha da mangiare, alla famiglia dei nostri vicini che non arriva a fine mese a causa della crisi, perché il marito a perso il lavoro, che cosa dobbiamo fare ?” 1 La rilevanza di queste opere appare, quindi, con una chiarezza adamantina e ancor più se, ampliamo l’orizzonte alla realtà del mondo, dove il problema della malnutrizione tocca ancora 842 milioni di persone pari al 12% della popolazione mondiale. Pur essendoci una produzione alimentare del 20% superiore al fabbisogno mondiale. Molti uomini non riescono a nutrirsi del cibo che si spreca … ad esempio in Italia, dove il 25% del cibo comperato viene buttato in pattumiera. La stessa cosa potremmo dire per l’acqua. Secondo un dossier pubblicato dalla rivista Enviromental Research Letters nel continente africano, pur ricchissimo di acqua, si stima che siano 300 milioni le persone senza un accesso stabile ad essa e che solo il 5 per cento delle terre coltivabili è effettivamente e regolarmente irrigato. Considerando ulteriormente questi due aspetti, possiamo dire che l’uomo, a differenza dell’animale, mentre si nutre non solo sazia la propria fame ma costruisce anche relazioni. Fa della mensa il primo luogo nel quale i rapporti divengono più stretti, si aprono alla comunione ed alla condivisione. Per questo dar da mangiare agli affamati e da bere agli assetati significa, per i cristiani, cercare di rispondere anche a quella fame di comunione e quella sete di relazioni buone che caratterizza il nostro tempo. Nutrendo il suo popolo con la manna nel deserto (Es. 16,1-36 ) o dissetandoli con acqua dalla roccia (Es. 17, 3-7 ) Dio non ha, infatti, semplicemente sfamato degli schiavi in fuga dall’Egitto, permettendo loro di sopravvivere, ma ha anche accompagnato la crescita di un popolo verso la piena libertà e percorso con loro la via verso la terra promessa.

Così come Gesù, moltiplicando i pani ed i pesci (Lc. 9,10-17 ), non ha semplicemente saziato coloro che lo seguivano, ma li ha introdotti al mistero del suo banchetto messianico, li ha resi capaci di fare eucaristia. Promettendo l’acqua alla Samaritana l’ha aperta al dono dell’acqua viva( Gv. 4,7-15). Le due prime opere di misericordia racchiudono, perciò, una prospettiva che supera la materialità del semplice nutrire l’altro, per aprirsi ad un dono di libertà e comunione.

Così come il “vestire coloro che sono nudi”. Il primo a compiere quest’opera, secondo la bibbia, è Dio stesso, che, dopo il primo peccato, copre la nudità di Adamo e sua moglie con due tuniche di pelle ( Gn. 3,21). Questo gesto di grande tenerezza, che permette all’uomo ed alla donna di sottrarsi allo sguardo possessivo dell’altro, apre al senso più profondo di questa terza opera di misericordia. Essa partecipa allo sforzo di Dio che, in un mondo ormai segnato dal male e dal rischio della sopraffazione, desidera donare ad ogni persona la dignità di creatura amata.

Dio protegge il corpo dell’uomo, per salvaguardarne l’anima, veste l’esterno perché la dignità della persona intera sia difesa. Esporre la nudità del corpo allo sguardo degli altri è, spesso, l’azione di chi cerca di umiliare la persona, soffocare in lei il senso del proprio valore, la dignità di Creatura di Dio e di Figlio amato. Come avvenuto nei campi di concentramento nazisti o nelle prigioni, dove la pratica indegna della tortura è applicata, la nudità viene esposta per spezzare ogni barlume di resistenza della dignità umana e insieme di umanità nelle relazioni. Vestire gli ignudi significa, allora, cercare di opporsi con tutte le forze ad ogni processo di umiliazione e reificazione del corpo dell’uomo e della sua dignità di persona. Ogni uomo è infatti amato da Dio come un figlio, pur nella sua fragilità e debolezza.