Riflessione personale sul sacramento della confessione

(riflessioni di una parrocchiana )

Fino a non molto tempo fa, tutte le volte che raccontavo ai bambini del catechismo le vicende de figliol prodigo, mi era chiaro che esse erano inserite in una parabola a me ostica, di cui non condividevo del tutto l’atteggiamento del padre che accoglieva in uno slancio di amore e tenerezza senza misura il figlio minore che, per realizzare la propria autonomia, si era precedentemente dato ad una vita dissoluta e di piacere. Mi ritrovavo per contro dalla parte del figlio maggiore che era sempre rimasto accanto al padre a servirlo e non nutrivo simpatia per l’altro che aveva dato un taglio netto alla sua vita pretendendo, prima di andarsene, la sua parte di beni e si era ritrovato a dover servire lontano pascolando porci. D’altra parte la sua era stata una decisione libera e consapevole. Si era cioè delineata per lui una condizione senza futuro, di sfinimento senza speranza, ma era stata una sua libera scelta. Eppure questa catastrofe avrebbe portato ad una nuova scoperta: il modo in cui sarebbe stato accolto dal padre (“Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gi si gettò al collo e lo baciò”). Per comprendere meglio il comportamento del padre nei confronti del figlio che torna a casa (nessun rimprovero, nessuna lamentela ma solo baci e abbracci), mi è stato d’aiuto un illuminante riferimento a questo incontro padre-figlio in occasione di una catechesi parrocchiale. Il figlio minore aveva semplicemente scoperto di non aver cessato di essere figlio. Le parole che il giovane rivolge al padre dopo essere stato da lui baciato e abbracciato, sgorgano così dal cuore senza timori: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te”. Ma cos’è veramente il peccato? La parabola lucana suggerisce proprio l’immagine della separazione dal padre (“Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto”). Peccato è dunque tutto ciò che ci separa dal Padre sconvolgendo il nostro cuore. È la condizione di ciascuno di noi quando ci ostiniamo a cercare un paese lontano dal Padre rinunciando ad una vita piena.Ma questa inquietante e misteriosa consapevolezza non deve tuttavia spaventarci perché con la confessione, cioè ritornando al Padre, siamo ridonati alla vita e reinseriti nel rapporto filiale con il Signore e con i fratelli. Sembra paradossale ma anche papa Francesco, nell’omelia in Santa Marta del 17 maggio 2013, così affermava:” … Il problema non è essere peccatori, il problema è non lasciarsi trasformare nell’amore dall’incontro con Cristo”. E ancora, papa Benedetto XVI, commentando la parabola del figliol prodigo (Angelus, 14 marzo 2010), così si esprimeva:” … Soprattutto questo testo evangelico ha il potere di parlarci di Dio, di farci conoscere il suo volto, meglio ancora, il suo cuore. Dopo che Gesù ci ha parlato del Padre misericordioso, le cose non sono più come prima, adesso Dio lo conosciamo: Egli è il nostro Padre che per amore ci ha creati liberi e dotati di coscienza, che soffre se ci perdiamo e che fa festa se ritorniamo … “ Comprendendo un po’ meglio il sacramento della confessione, sono riuscita anche a superare talune difficoltà rispetto alla scelta del sacerdote al quale confessare i peccati (meglio un sacerdote conosciuto o estraneo alla nostra vita?). Credo che la cosa importante sia il nostro atteggiamento: nella confessione, tramite il sacerdote, chiediamo perdono a Gesù. È un regalo che va chiesto, non possiamo autodonarcelo. E il perdono che riceviamo, attraverso le parole del sacerdote, ci permette di essere veramente nella pace.

 

SVEGLIACI DAL NOSTRO TORPORE

Non accorgerci di nulla:

per te, Gesù, è proprio questa la cosa peggiore che ci può accadere.

Fare come se nulla fosse,

continuare a vivere

senza curarci di trovare la bussola,

un senso, una direzione, un significato.

ritenere che questo mondo

sia semplicemente eterno,

una sorta di perenne circolo vizioso

senza né capo né coda,

in cui tutto e il contrario di tutto sono la stessa cosa.

Da questo tu, Gesù, ci vuoi mettere in guardia.

Il rischio è che viviamo senza neppure percepire

quanto sia decisivo quello che sta per realizzarsi.

Destati, dunque, Signore, strappaci al lungo torpore,

apri i nostri occhi assonnati,

scalda il nostro cuore intorpidito.

Noi ci rivolgiamo a te:

non lasciarci affondare nella palude del consumismo,

nelle sabbie mobili della pigrizia,

nel gorgo della disillusione, nel fango dell’egoismo.

Apri i nostri orecchi:

la tua Parola risuoni con forza

e ci getti decisamente

sulle strade dell’attesa e della speranza.

Roberto Laurita